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MAGNIFICAT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 28 aprile 1993
 
di Pupi Avati, con Luigi Diberti, Arnaldo Ninchi, Consuelo Ferrara (Italia, 1993)
 

"Un viaggio nella religiosità del Medioevo" - lo definisce il regista. "Quel periodo dalla caduta dell'Impero Romano alla fine del millennio, quei secoli che i i libri di scuola definiscono bui, che sono saltati a piè pari dagli studenti" . E che sono invece "densi di sacralità, di un'ansia di trascendente, con la quale avevo voglia di confrontarmi. Stufo di avere, come interlocutori, direttori di rete o segretari di partito".

Cosi, Pupi Avati se ne è andato per le contrade della Toscana, dell'Umbria o del Abruzzo, alla ricerca di chiostri, abisidi e vestigia dell'età carolingia: per raccontare "un film semplice, essenziale, naïf come la cultura contadina dalla quale proviene".

È fatto, questo MAGNIFICAT, di brevi storie incrociate: quella dell'apprendista del boia che deve imparare ad annegare e squartare, della novizia ceduta al convento per ottenere un diritto di guado, della concubina del re in visita alla reliquia del convento per partorirgli un maschio, dell'erede del feudatario che attende dal genitore defunto un segno dall'aldilà che gli confermi l'esistenza della vita eterna. Un segno, ahimè, che tarderà proprio a giungere.

Dopo tante storie "piccole", di gite scolastiche, fidanzamenti e compleanni, Pupi Avati si è dunque scoperta una più che legittima esigenza di scrivere un film "grande". Di passare dal realismo minimo che molto gli si confaceva alle allusioni moralistiche delle tematiche religiose, ai riferimenti storici che gli permettessero eventualmente di legare i destini di due fini di millennio. Lo ha fatto con estrema dignità, e con cultura indubbia: attingendo, così ci dicono, a 107 testi storici e religiosi, da Gregorio di Tours a Paolo Diacono, da Liutprando da Cremona a Beowulf, da Abelardo ed Eloisa a Swedenborg. Nell'atmosfera compassata dettata dal commento off, allo spettatore non rimane allora che da annotare ed ammirare: più che ispirato, commosso o divertito, coi suoi rimandi ad un Pasolini al quale avrebbero tolto il midollo e succhiato l'anima, MEDIOEVO resta schematico, dimostrativo e più che freddino. Di un'umiltà tutta letteraria: terribilmente suggerita e sottolineata, rispetto a quella facile ed istintiva delle sue fiabe cosiddette piccole. Un film sull'assenza di Dio, perché no: ma non necessariamente basato sulla presenza di un certo tedio.


   Il film in Internet (Google)

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